SCUOLE APERTE SEMPRE O COMMUNITY & RECREATION CENTERS?
- Stefano Pelagotti
- 19 mag 2016
- Tempo di lettura: 3 min
Da alcuni anni ho iniziato ad interessermi delle realtà, tutta statunitense, dei Community & Recreation Centers, strutture che ho sempre trovato molto interessanti anche per un loro possibile inserimento e sviluppo in area italiana quali punti di aggregazione sociale e riconoscimento di una territorialità.
In Italia non abbiamo mai attuato una politica specifica per la realizzazione di strutture specialistiche finalizzate all'aggregazione sociale, demandando il più delle volte questa responsabilità al sistema scolastico, sistema che per natura, derivazione storica ed organizzazione ha specifiche responsabilità e doveri nei confronti della preparazione intellettuale e civica delle generazioni future.

Questo atteggiamento politico/sociale, con il cedimento di alcune responsabilità educative da parte delle famiglie, ha creato nel tempo la falsa aspettativa del "...ci deve pensare la scuola..." e "...ci devono pensare gli insegnanti.."
Questo "approccio mentale" ha portato alla recente pubblicazione di un concorso d'idee per la definizione di un nuovo modello di edificio scolastico, che sia anche strutturato per l'utilizzo come Civic Center.
Questa idea e impostazione, di fatto, implementerà le strutture ed i costi a carico dello Stato, sia realizzativi che di gestione e mantenimento, andando a sovrapporsi a servizi e strutture pubbliche già esistenti che sinora poco hanno inciso sulle problematiche sociali.
E se invece la scuola, in tutti i suoi ordini e gradi, facesse la scuola e la società, intesa come privati, aziende e fondazioni, si occupasse di questo particolare aspetto sociale quale l'aggregazione di una comunità?
Come negli U.S.A. esistono società e fondazioni che realizzano e gestiscono questi Community & Recreation Centers, è mai possibile che in Italia non si possa giungere a risultati uguali o simili?
Insiema ad un mio Cliente è da più di un anno che cerchiamo di far comprendere, con incontri e relazioni sia a livello di Amministrazione locale che Regionale, cosa sono queste strutture e come, essendo private, non debbano pesare sui bilanci pubblici, come possono funzionare nel contesto territoriale e che, nello specifico, c'è un gruppo d'investitori locali che crede in queste strutture e vorrebbe realizzarne una in una ben precisa localizzazione.
Nonostante tutto ciò non siamo ancora riusciti a far inserire l'area d'interesse, che per funzionare deve avere precise caratteristiche d'intorno, all'interno dello strumento urbanistico, difficoltà derivanti da scarso interesse per l'argomento da parte della controparte pubblica, diffidenza verso il privato (loschi traffici o interessi?) in quanto in Italia il settore sociale/aggregativo è sempre stato d'esclusivo intervento pubblico, scarsa elasticità normativo/burocratica verso nuove ipotesi d'iniziativa ed investimento e di collaborazione tra interesse pubblico e businnes privato.
Di fatto se il mio committente vedrà qualche cosa, in positivo o negativo, sarà tra uno o due anni e poi, forse, riusciremo a procedere con la progettazione e realizzazione del complesso, mentre nel frattempo lo Stato si troverà ad impegnare risorse e fondi per soluzioni, parziali, che potevano essere d'interesse realizzativo per gruppi o fondazioni private (ovviamente applclicando seriamente tutte le norme di controllo e verifica previste dal nostro ordinamento onde evitare sgradevoli intromissioni), il tutto senza dimenticare la formazione di nuovi posti di lavoro derivanti dal settore privato e non dal settore pubblico.
Dobbiamo quindi trovare la soluzione normativa e comportamentale che permetta di realizzare queste strutture, socialmente strategiche e importanti quale collante identificativo di un territorio o di un'area, nella maniera più coerente e completa, cercando di non caricare costi e gestioni sul pubblico ma facendo sì che queste strutture possano essere occasioni d'intervento privato.